Bologna
Quando i Petroni contro i Geminiani Arser di fiero sdegno Per la rapita vil secchia di legno: E senza indugio armati Accorsero di Modena alle porte Minacciando mine e stragi e morte Venere, Marte e Bacco, Dal ciel discesi in terra A parteggiare in quell'atroce guerra, Vollero dar riposo Al faticato fianco Nell'antica osteria di Castelfranco Dove la dolce notte Dal Tassoni cotanto celebrata, Venere innamorata Tutt'intera trascorse In braccio ora di Marte, or del Tebano, D'onta coprendo lo zoppo dio Vulcano. Ma, giunta la dimane Mentre il carro d'Apollo Senza il menomo crollo Della volta del cielo era salito Alla più eccelsa parte, Bacco ed il fiero Marte Zitti e cheti, lasciata in letto sola La divina compagna, Andarono a girar per la campagna. Dopo un profondo sonno Venere gli occhi dolcemente aprio E non veggendo l'uno e l'altro dio Giacere ai fianchi suoi, Tale tirata diede al campanello Che fece risonar tutto il Castello. L'oste che stava intento Ad aggirar l'arrosto Le scale come un gatto ascese tosto, E nella stanza giunse, Dove in camicia, seduta sul letto In volto accesa d'ira e dì dispetto Stava la diva donna, Di cui la sera innanzi ebbe opinione Ch'egli fosse un bellissimo garzone. -Sai tu, villan cornuto, Ove son iti i due compagni miei? - Signora, io non saprei, Pronto rispose l'oste; Ma dianzi per istrada Quel dal pennacchio rosso e dalla spada Guardandomi in cagnesco, M'ha detto a mala pena Che questa sera torneranno a cena. A siffatta notizia Venere bella serenò le ciglia; Poi con gran meraviglia Dell'oste lì presente Come se fosse sola, Le candide lenzuola Spinse in mezzo alla stanza, Le belle gambe stese, Dall'ampio letto scese Con un salto sì poco misurato Che sollevandosi la camicia bianca, Poco più su dell'anca, Onde l'oste felice (Lo dico o non lo dico?) Di Venere mirò il divin bellico! Ma non si creda già C'he a quella vaga e seducente vista Pensieri di conquista L'oste pudico entro dì sé volgesse; Anzi un'idea soavemente casta D'imitar quel bellico con la pasta Gli balenò nel capo; Ond'egli qual modesto cappuccino, Fatto alla Diva un riverente inchino In cucina discese; E da una sfoglia fresca Che la vecchia fantesca Stava stendendo sovra d'un tagliere, Un piccolo e ritondo pezzo tolse, Che poi sul dito avvolse In mille e mille forme Tentando d'imitare Quel bellico divino e singolare. E l'oste ch'era guercio e bolognese, Imitando di Venere il bellico L'arte di fare il tortellino apprese! La nascita del tortellino - L'ombelico di Venere - Poemetto ottocentesco di Giuseppe Ceri
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